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Federico Marchetti si racconta: dalla vendita di Yoox al progetto con re Carlo III

di Piera Anna Franini

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Federico Marchetti, nato a Ravenna nel 1969, è una delle punte dell’imprenditoria digitale. Fondatore del gruppo Yoox Net-A-Porter, venduto per 6 miliardi a Richemont, ha portato la moda sul web, rivoluzionando l’esperienza di acquisto di beni di lusso. Pioniere della moda sostenibile, è presidente della Fashion Task Force di re Carlo III, dove in febbraio ha fatto il suo ingresso anche il gruppo Prada, e membro del cda della Giorgio Armani.

Un percorso avventuroso – raccontato anche nel libro edito da Longanesi Le avventure di un innovatore – esplorato in questa intervista, in cui Marchetti fa una confessione: sfumato il sogno, da giovanotto, di lavorare nella Walt Disney (“azienda che ho sempre amato”), medita di ricavare un film biografico dal suo libro. Così come gli mulinella in testa l’idea di una serie tv sulla moda. A conforto c’è il semaforo verde di Reed Hastings, cofondatore e ad di Netflix, incontrato in un summit e poi a cena nella residenza di Bill Gates.


Cosa l’ha sempre intrigata dell’imprenditoria?

Il fatto di poter osare, sperimentare, innovare, costruire valore. L’elenco proseguirebbe. Da una parte hai una grandissima libertà, perché puoi pensare alla tua impresa come a un organismo vivente da far crescere e da ampliare, puoi usare tutta la tua fantasia per renderlo unico. Dall’altra hai una grandissima responsabilità verso le persone che lavorano con te. Molte famiglie dipendono dal successo della tua azienda e non puoi deluderle, mai.


Come si vede nei prossimi dieci anni?

Un innovatore, un sognatore che cerca di cambiare il mondo e di renderlo più green e sostenibile.


Ed eccoci alla Fashion Task Force.

È un’ipoteca sul domani, una scommessa per stimolare la moda, rendendola più rispettosa della natura e del pianeta.


Nel suo libro non mancano le sferzate al venture capital.

Non sono critico con tutti i venture capitalist. Anzi. Se ripenso a Elserino Piol, provo solo stima e ammirazione. Negli ultimi anni il nostro era quasi un rapporto affettivo: andavo a trovarlo con mia figlia, mi piaceva ascoltarlo e capire qual era il suo metodo. Piol era un personaggio speciale: coraggioso, aveva creduto in internet e nelle giovani startup italiane prima di chiunque altro. Soprattutto sceglieva con acume dove investire e non aspettava che qualcun altro lo facesse prima di lui. Mi ha aiutato a partire e sostenuto in diversi momenti del mio percorso.


Cos’è il lavoro per lei?

Etica, impegno, dedizione. Ho sempre lavorato più per passione che per soldi, che sono venuti dopo e che ovviamente contano. La cosa più importante è avere una prospettiva, un sogno da realizzare e perseguire con ostinazione. Non mollare davanti alle difficoltà, conservare l’ottimismo anche davanti a un fallimento. Spesso occorre provare e riprovare prima di trovare la strada giusta. Bisogna avere l’umiltà di ammettere i propri errori, essere sinceri, aperti, corretti. Nulla è irrimediabile.


Viviamo un’epoca in cui si reclamano i diritti ma poco si parla dei doveri. Lei cosa pensa?

Anche i diritti ultimamente non stanno tanto bene. In particolare, se parliamo di disuguaglianze, di gender gap, di discriminazioni. Diritti e doveri devono andare di pari passo ed essere in equilibrio, perché anche pretendere che le persone rispettino solo i loro doveri, senza rivendicare i propri diritti, è sbagliato. Spesso sento dire che i giovani non vogliono impegnarsi, che fuggono dalle responsabilità, ma dobbiamo metterci dalla loro parte e comprendere che percepiscono le loro prospettive future e i loro sogni come chimere irrealizzabili. Questo li porta a volte a enfatizzare il presente e l’edonismo. In realtà però siamo noi che, egoisticamente, abbiamo tarpato i loro orizzonti.


I giovani sono fragili, di cristallo, poco propensi al rischio, si dice. Un vecchio adagio o c’è del vero?

Io credo nei giovani. Quando sono partito con Yoox eravamo tutti giovani, alcuni erano anche amici d’infanzia, romagnoli come me. Mi piace lavorare con i ragazzi e le ragazze perché hanno la mente fresca, osano, provano, sperimentano. Se vuoi fare innovazione devi percorrere sentieri inesplorati, e i giovani sono abbastanza incoscienti e ostinati per farlo. E anch’io sono così: un po’ punk, anticonvenzionale, spesso anti-establishment. Forse è per questo che sono riuscito ad arrivare indenne dopo tutti questi anni di lavoro e di difficoltà, risolvendo i problemi e continuando a credere che il futuro è giovane.


In una frase: chi è Anna Wintour, direttrice di Vogue America e sua amica?

Una donna intelligente che ama il potere e lo sa gestire.


“Non siamo felici perché abbiamo successo. Abbiamo successo perché siamo felici”, assicura Shawn Anchor, autore americano. Che cosa ne pensa lei, gran sperimentatore di successo?

È difficile definirsi felice in un mondo così complesso, attraversato da guerre e problemi che non possono lasciare indifferenti. Sono sereno e soddisfatto, più che del successo in astratto, di quello che sono riuscito a creare. Non parlo solo di Yoox net-a-porter, ma di quanto l’e-commerce di moda abbia cambiato il comportamento delle persone e dato ai clienti la libertà di scegliere, di diventare dei bricoleur, di pescare anche nei vestiti delle passate stagioni capi unici, senza tempo, e di abbinarli con creatività ad altre cose.


Come ha vissuto l’uscita da Yoox?

L’ho pensata e programmata a lungo. Certo, mi è mancata la quotidianità, l’adrenalina, il rapporto stretto con alcuni collaboratori, ma mi ero già costruito una seconda vita.


Voltar pagina, del resto, pare essere una delle sue abilità.

Andarsene nel modo giusto e nel momento giusto è quasi più complicato che scegliere quando cominciare o arrivare in un posto. Ma se tutto è sistemato, se programmi le cose in anticipo, prevale l’armonia invece del caos.


Lei è bravissimo a sdrammatizzare. Una dote naturale o un’abilità appresa sul campo?

L’ho per natura. Non mi prendo sul serio, mi butto in imprese che sembrano irrealizzabili con l’incoscienza di un bambino, ma poi emergo con un piano super strutturato. Mi piace l’ignoto.


“Lei è uno bravo”, le disse Marchionne, un fuoriclasse.

Era tale perché ha preso un’azienda che tutti davano per finita e non solo l’ha salvata, ma l’ha anche resa grande e internazionale. Ne ha rivoluzionato l’organizzazione e non ha avuto paura di confrontarsi e fare accordi con colossi, trattando alla pari, come spesso ho fatto anch’io. Ha cambiato non solo la natura, ma anche i confini di quella che ai tempi era la Fiat. Marchionne era un uomo che lavorava indefessamente per raggiungere i suoi obiettivi, ma soprattutto aveva una visione e sapeva come concretizzarla.


Pubblicato su Forbes.it

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