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Collection of articles and interviews with Federico Marchetti
La Repubblica
Cop28, Federico Marchetti: “Passaporto del tessile ed economia circolare. Anche l’alta moda può diventare green”
di Luca Fraioli
L’intervista al manager e innovatore che ha fondato Yoox per poi dedicarsi a progetti di sostenibilità. “Basta avvicinare al vestito lo smartphone e sullo schermo compaiono i materiali usati, come è stato prodotto e il modo migliore per riciclarlo”
«Dopo aver accompagnato il mondo della moda alla scoperta del digitale, ora mi sono dato una nuova missione: guidarla sul sentiero della sostenibilità».
Federico Marchetti ha appena parlato alla plenaria della Green Zone di Cop28 a Dubai, l'area riservata alla società civile. Ha presentato il suo progetto per abbattere l'impronta carbonica dell'industria dell'abbigliamento, che, secondo le stime più accreditate, è responsabile di una quota compresa tra l'8 e il 10% delle emissioni totali e del 20% delle acque reflue.
Marchetti, a che punto è il vostro percorso di sostenibilità?
«Qui a Cop28 ho raccontato i miei due sogni che stanno diventando realtà. Abbiamo lanciato e implementato il passaporto digitale dei capi, in anticipo rispetto alla richiesta dell'Unione europea. E due progetti innovativi di agroforestazione rigenerativa».
Come è iniziato il suo impegno per la moda green?
«Nel 2000 ho fondato Yoox, accompagnando per mano i brand italiani ed europei della moda nel digitale. Cinque anni fa ho ceduto l'azienda e ho deciso di fare la stessa cosa, questa volta accompagnando la moda su un altro sentiero, quello della sostenibilita».
Poi c'è stato l'incontro con l'allora principe Carlo.
«Nel 2021 mi ha chiesto di mettere insieme una task force sulla moda all'interno della Sustainable Markets Initiative, da lui lanciata a Davos nel 2020. Ho quindi riunito 15 brand, tra cui gli italiani Cucinelli e Armani, marchi britannici come Burberry e Stella McCartney, francesi come Chloe. Tutti insieme per conseguire i due obiettivi concepiti all'inizio di questa avventura due anni fa».
Cominciamo dal passaporto. In cosa consiste?
«In una innovazione che permetterà ai clienti di avere tutte le informazioni sul capo di abbigliamento: basterà avvicinare lo smartphone e sullo schermo compariranno i materiali usati, come è stato prodotto, qual è il modo migliore per riciclarlo. Perché il riciclo è la chiave della sostenibilità in questo settore. Se un abito viene usato per diversi anni, o addirittura per una generazione, anziché per pochi mesi, è chiaro che il suo impatto sull'ambiente cala drasticamente».
A che punto è il progetto?
«Tutti i brand che fanno parte della task force hanno abbracciato l'iniziativa e iniziato l'implementazione del passaporto digitale. Poi c'è chi si trova a uno stadio più avanzato e chi è un po' più indietro. Ma siamo orgogliosi di essere stati dei pionieri: noi abbiamo lanciato il progetto nel 2021 L'anno successivo si è mossa nella stessa direzione l'Unione europea che ora prevede il passaporto digitale per tutti i capi di abbigliamento dal biennio 2026-2027».
I marchi della task force sono l'élite della moda. Sarà facile estendere queste buone pratiche a tutto il settore?
«La nostra iniziativa si sta già allargando ad altri brand. Quando sempre più marchi lo avranno, i clienti finiranno per esigerlo da tutti. Ci vorranno tre o cinque anni, ma ci si si arriverà»,
A Cop28 ha presentato anche due progetti di agriforestazione per una moda rigenerativa. Di cosa si tratta?
«Sono stati concepiti insieme a uno dei massimi esperti mondiali di bioeconomia circolare, lo spagnolo Marc Palahí, direttore fino allo scorso maggio dell'Istituto europeo per le foreste. Il primo, in collaborazione con BrunelloCucinelli, mira a rendere più sostenibile la produzione di cashemere in Himalaya, rigenerando i paesaggi degradati e aiutando la locale industria tessile, con grande attenzione al clima e alla biodiversità. Il secondo progetto, realizzato con Armani. consiste nel riportare la coltivazione del cotone in Puglia, da dove era sparito 60 anni fa con il boom del poliestere. A settembre scorso c'è stato il primo raccolto sperimentale».
Ma l'approccio ispirato al riciclo, alla sostenibilità, al rispetto dell'ambiente e delle comunità come si concilia con il business?
«Se dico a un imprenditore che dovrà vendere e guadagnare di meno non posso pensare di fare breccia. Ma la differenza, rispetto al passato, la fa l'innovazione che rende obsoleto e sbagliato lo stereotipo secondo cui tutto quello che è sostenibile costa di più. Noi cerchiamo di indicare la strada anche agli altri, non solo all'alta moda. I nostri progetti scalabili: se si può coltivare un ettaro di cotone sostenibile, se possono coltivare
anche 10 o 100».
È alla sua terza Cop, dopo Glasgow e Sharm el-Sheik. Che impressione ha avuto in queste prime ore?
«In Scozia si respirava grande ottimismo: tanti giovani con molta voglia di cambiare le cose. A Sharm el-Sheik invece ho avuto l'impressione che si stessero facendo due o tre passi indietro. Qui a Dubai mi pare di aver già visto dei passi avanti».
Ha incontrato re Carlo?
«Sì l'altra sera a un evento dove c'erano anche l'inviato speciale Usa per il clima John Kerry e l'ex sindaco di New York Michael
Bloomberg. Erano tutti molto motivati».
Pubblicato su Repubblica.it