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Vanity Fair

Federico Marchetti: «Il futuro sono le persone»

di Valeria Vantaggi

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Foto di David Needleman

Dall’idea vincente dell’e-shopping al lavoro con re Carlo III, Federico Marchetti ripercorre in un libro la sua storia. Con noi parla di intuizioni, mentori (c’è anche Ugo Foscolo) e della risorsa più grande per la sopravvivenza del Pianeta

Abita in un attico-giungla nel centro di Milano, con mobili in legno di Bahia, un terrazzo con fusti di bambù e piante frondose di cui non riesce più a fare a meno. Gliel’ha arredata il regista Luca Guadagnino e, quasi fosse il set perfetto di un film sulla sua vita, questa casa lo rispecchia come nessun’altra: c’è tanto verde, è curata in ogni dettaglio, ma, pur nel lusso, non mette in soggezione. E così è lui, Federico Marchetti, ravennate classe 1969, un pioniere idealista che, dopo il successo del suo Yoox – «una rivoluzionaria piattaforma per fare shopping e per sognare» –, ora si dedica anima e corpo alla sostenibilità.

La sua è una di quelle vite così piene di occasioni, successi, amici e brividi che sarebbe stato un peccato non raccontarla. E infatti ne è nato un libro: Le avventure di un innovatore, appena pubblicato da Longanesi e scritto con Daniela Hamaui, giornalista già direttrice di Vanity Fair. La prefazione è firmata da Giorgio Armani: «È stato commovente leggere le sue parole», ci ha confessato Marchetti. «Lui per me è un faro, una sorta di guida spirituale: da sempre ammiro la sua capacità di coniugare la creatività con l’imprenditorialità, una dote rara. E mi lega a lui un rapporto strettissimo, quasi magico: se nei numeri è scritto il nostro destino, come mi spiego che il suo compleanno sia l’11 luglio, lo stesso giorno di quello di mia figlia e del mio babbo? Coincidenze a parte, sono fiero, dopo tanti anni di vicinanza, di essere entrato nel suo consiglio di amministrazione. Oggi posso così dire di lavorare per due re: Giorgio Armani e Carlo III».

Ha conosciuto re Carlo a Londra nel 2018 quando, con Yoox, ha inaugurato un nuovo centro tecnologico per accelerare l’innovazione: «Era venuto a farci visita con Camilla. Dopo un paio di mesi è stato lui a invitarmi a Dumfries House, una delle sue tenute in Scozia, e poi, ancora, a Birkhall, il suo bellissimo parco, dove conosce tutti gli alberi, a uno a uno. È un pioniere della sostenibilità, quello su cui ora, dopo aver lasciato la mia azienda nel 2021, mi sto impegnando con tutto me stesso. Oggi sono presidente della Sustainable Markets Initiative Fashion Task Force di re Carlo, che chiama a raccolta una quindicina di ceo, tutti impegnati a cercare di impattare sempre meno sul nostro Pianeta. Abbiamo attivato una collaborazione tra i brand, senza alcuna forma di concorrenza. Da lì è già uscito il passaporto digitale, un’etichetta con un codice che consente a produttori, rivenditori e clienti di ricostruire la tracciabilità di ogni capo di abbigliamento. E questo non è che il primo passo, sono sicuro che possano nascere tante altre iniziative future da fare insieme».

A proposito di futuro, lei come se lo immagina?

«Nessuno scenario apocalittico alla Blade Runner, ma dobbiamo attrezzarci per gestire il cambiamento climatico, perché ormai ci siamo dentro. La tecnologia farà passi avanti e nei prossimi dieci anni mi aspetto cose incredibili, anche molto belle: mali incurabili che diventano curabili e – chissà – magari si scoprirà il gene della salvezza dell’umanità. Ci muoveremo in mezzo a droni e a intelligenze artificiali, ma le cose più preziose saranno quelle con l’etichetta Made by Humans: sono sicuro che torneremo a valorizzare le persone e quello che sanno fare. Sono molto ottimista sulla nostra capacità di sopravvivenza e di voler star bene. Ogni giorno mi immagino di inventare cose nuove, con più o meno senso: avrebbe successo una crema da spalmarsi sul viso che ti rende invisibile nelle fotografie? (sorride)».

Lei si è definito «un pragmatico sognatore self-made». Ma cita anche diverse persone che l’hanno aiutata. Chi l’ha fatto senza rendersene conto?

«Girerei la domanda: chi ho pensato che non mi avesse mai aiutato e in realtà mi ha aiutato più di tutti? Penso a mio padre, una persona fragile, assente, sempre a un passo dall’esaurimento. Un uomo intelligente e bipolare. L’ho conosciuto poco e ho pensato che non mi avesse dato nulla. Paradossalmente l’ho scoperto il giorno del suo funerale, attraverso i suoi colleghi che mi hanno raccontato che era sempre il primo ad arrivare nel magazzino Fiat di cui era responsabile, che era un perfezionista e che tendeva a prendersi la responsabilità quando qualcosa non andava. Quella sua forte etica del lavoro la rivedo in me e credo che sia stata importante per fare ciò che ho fatto».

E lei come si è aiutato? Nel libro cita diverse qualità: la lealtà, l’imprenditorialità, la leadership... Che cosa, soprattutto, l’ha portata al suo successo?

«Siamo una sommatoria di tante qualità e di tanti difetti. Non c’è un aspetto solo che ci fa essere chi siamo. Sicuramente, però, la tenacia e la passione mi sono servite: come dice Ugo Foscolo, “quello spirto guerrier ch’entro mi rugge”. Ecco, quello è stato fondamentale».

Non sono state solo vittorie: quando Yoox sbarcò in Cina la prima volta fu un fallimento. Oggi si fa un gran elogio dei fallimenti: si dice che servano. È vero?

«Lo dicono, ma la verità è che poi gli errori in qualche modo li paghi. Non è mai una passeggiata sbagliare e bisogna comunque prestare attenzione a non farsi troppo male. Quando fai innovazione devi mettere in conto di rischiare, ma tutto deve essere ben calibrato e ponderato».

Eppure lei ha rischiato non poco: lavorava per la società di consulenza Bain, con un posto sicuro, eppure si è licenziato per mettere in piedi il suo sogno, andando in Brasile e cominciando un’avventura che non si sapeva come sarebbe andata. Non aveva paura?

«Nessuna paura. Mai. Semmai avrei avuto paura di continuare a fare quello che non avrei voluto più fare».

Prima di intraprendere questi suoi incarichi brillanti, ha studiato parecchio: oltre alla laurea alla Bocconi, anche un master alla Columbia, a New York. Le è servito studiare così tanto? Quanto è importante oggi la formazione accademica?

«Io ho avuto la fortuna di avere prima una formazione italiana, più teorica e profonda, e dopo, una anglosassone, più concreta: credo che sia un ottimo mix. Non siamo tutti uguali, ma per me, sì, è stato utile, mi ha dato molti strumenti e, per frequentare la Bocconi, ho dovuto lasciare Ravenna e venire a Milano: uno shock, che mi ha costretto a ingranare una marcia diversa. Quando ho dovuto assumere delle persone, ho sempre fatto caso al percorso formativo che avevano alle spalle: dal mio punto di vista rimane una cosa importante per andare avanti».

E lei è andato avanti, è passato da Ravenna a re Carlo, un percorso lungo: se lo riguarda, che impressione ha?

«Di non essere cambiato: nella mia testa mi sento uguale a quando avevo 17 anni e andavo in giro in Vespa con i miei amici. Sono ancora quel ragazzo immaginifico, idealista. Sono ancora io».

Nel suo libro c’è scritto: «Non siamo felici perché abbiamo successo, ma abbiamo successo perché siamo felici». Lei è felice?

«Sì, lo sono. Quando ho lasciato Yoox e l’ho venduto, non avevo escluso l’ipotesi di trovarmi davanti a un burrone: era l’azienda che avevo inventato, fondato, fatto crescere. E invece non è successo: certo sono affezionato a Yoox, ma non mi manca, non sono un nostalgico, continuo a essere animato da passioni, spinto a fare cose che mi piacciono, e il mio attuale impegno per l’ambiente mi fa sentire bene. Sono poi felice che sia uscito questo libro, mi piace l’idea che i ragazzi possano trarre degli insegnamenti ascoltando una storia di vita. Perché non ci sono regole, nulla è preordinato: la vita è fluida, piena di casualità, ma puoi organizzarti perché il tuo contributo migliori il mondo».

Pubblicato su VanityFair.it

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