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Vanity Fair

Federico Marchetti: «Il mio weekend con il Re»

di Federico Marchetti

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L'email mi è arrivata il 3 aprile, al mattino: «By Command of The King, the Earl Marshal is directed to invite you to attend the Coronation of The King and The Queen Consort on Saturday, 6th May 2023, at Westminster Abbey». In poche parole, ero invitato alla Coronation! Confesso che mi sono emozionato, e ho dovuto rileggere due o tre volte.

Conosco Carlo da circa cinque anni, e abbiamo un rapporto che è cresciuto nel tempo, speciale, unico. Però l’incoronazione è un evento storico e sapevo che gli invitati sarebbero stati pochissimi, per cui non ci stavo pensando. Che fosse tutto vero l’ho realizzato quando è arrivato il pass fondamentale per la cerimonia, da presentare entro le 8.30 del mattino del 6 maggio. L’ho messo in cassaforte, terrorizzato di perderlo.

La prima volta che ho incontrato Carlo fu nel 2018: con Yoox, la mia azienda all’epoca, dopo aver comprato il gruppo net-a-porter lanciavo a Londra il tech hub, un centro di innovazione, e avevo invitato lui e Camilla. Loro gentilmente si sono presentati, ricordo che subito mi hanno rimandato un’idea di grande tenerezza: nei loro occhi era chiaro l’amore. Carlo non è un appassionato di tecnologia, mentre è un vero pioniere della sostenibilità, quello su cui ora, dopo aver lasciato la mia azienda nel 2021, mi sto impegnando con tutto me stesso. Passeggiando, abbiamo chiacchierato a lungo, anche delle sue scarpe, che, come mi faceva notare, avevano più di vent’anni, più delle mie che comunque ne avevano una decina e che ho sempre tenuto con grande cura. Del resto il suo motto, da sempre, è: «Buy once, buy well» (compra una volta, compra bene), che è qualcosa che risuona in me, perché è uno degli insegnamenti che mi ha lasciato mia madre e che io trasmetto a mia figlia Margherita, che ha quasi 12 anni.

Dopo un paio di mesi da quel primo contatto, Carlo mi ha invitato a Dumfries House, una delle sue tenute in Scozia, poi anche a Birkhall, nel suo bellissimo parco, dove lui conosce tutti gli alberi, uno ad uno. Ha una grande passione per la botanica, tanto che una volta, a Natale, gli avevo già regalato un alberello del Trentino, quello usato per il legno dei violini dal Signor Stradivari. Devo dire che questa cosa mi ha anche guidato ora per la scelta del regalo della Coronation per lui e la Regina Camilla: ho pensato di unire la sua passione per le piante a quella per gli acquerelli e gli ho portato un album, che contiene i semi di ortaggi italiani, dal cavolo toscano al carciofo romano, il tutto dipinto dalla mia amica, artista eccezionale, Fiona Corsini.

Con un re, più che con chiunque altro, vale la regola del regalo «pensato». Sicuramente non gli potevo regalare un piatto d’argento o un bollitore. Anche se la storia del bollitore è interessante. La prima volta che mi è capitato di andare a prendere il tè con lui, dalle cinque alle sei, a Buckingham Palace, lui ha fatto tutto il rito del tè con il bollitore. Io ero molto imbarazzato perché era lui che serviva il tè: allora non sapevo che fosse una tradizione e ho iniziato a inanellare delle gaffe, prima dicendogli che avrei fatto da solo, ma lui me lo ha impedito con decisione, poi avendo la sfacciataggine di chiedergliene ancora, perché mi era piaciuto moltissimo, quindi lui si è rimesso a fare tutta la trafila, e un secondo dopo mi sono morso la lingua, onestamente potevo evitare!

Ma evidentemente non è stato un inciampo così grave se mi ha voluto alla cerimonia, anzi mi ha guardato con un sorriso benevolo.

Arrivare a Westminster Abbey è stata un'avventura. Per non rischiare di fare tardi mi sono avviato alle 7.10. Niente macchina, mi son detto: non volevo trovarmi imbottigliato da qualche parte. Avevo calcolato che in 20 minuti, con un passo tranquillo, sarei arrivato. E invece ho raggiunto la meta trafelato, alle 8.25, solo 5 minuti prima di quando si sarebbero chiusi gli ingressi. Nel percorso ho dovuto passare più di 12 poliziotti che controllavano ogni accesso, mostrare l'invito, spiegare, presentarmi. Comunque ce l'ho fatta e sono entrato con il mio pass giallo in mano, quello per la navata centrale.

A quel punto c'è stata la prima sorpresa: i posti non erano assegnati, chi prima arrivava prendeva i posti migliori. Ed è un'attenzione che mi è piaciuta: era un modo per non creare posti di prim'ordine e di second'ordine, una cosa molto democratica, che sono sicuro sia stata decisa da Carlo, lui è fatto così.

Mi sono trovato accanto a Edward Enninful, il direttore editoriale di British Vogue, che, abituato com'è alle sfilate di moda e alle sedute in front-row misuratissime, essendo arrivato presto si è concesso un breakfast, sicuro anche lui che i posti fossero assegnati.

E questo è uno dei tanti piccoli, ma significativi, dettagli in cui ho riconosciuto lo stile di Carlo.

Sicuramente è stata sua la scelta di avere in chiesa un gospel oltre al consueto coro, un evidente segno di multiculturalità, di apertura verso tutte le etnie. Quando hanno cominciato a cantare, lui, che per tutta la cerimonia è stato concentratissimo e serio, ha accennato un mini sorriso di compiacimento.

E così so che c'è lui dietro la scelta di quell'olio per la benedizione: il fatto che fosse un olio sacro arrivato da Gerusalemme, prodotto cruelty-free, è una cosa che mi ha colpito molto. Io sono stato tra i primi in Italia, con Yoox Net-A-Porter, ad abbandonare la vendita di pellicce, cosa che allora, nel 2016, mi costò una perdita di decine di milioni di euro in affari, ma quella fu una delle scelte migliori che io abbia mai fatto. E forse è proprio questo sentire che ci accomuna, questa attenzione verso l’etica e il Pianeta. Tuttavia, nonostante il legame, sono stato stupito quando mi è arrivato l'invito: non oso pensare a chi ha dovuto gestire gli inviti, a quanti incastri, quante considerazioni, a quanti chiarimenti con i politici che non potevano arrivare con le mogli, ai nobili lasciati fuori. Non posso che essergli grato.

È stato tutto perfetto e sincronizzato, con una regia impeccabile.

Ed era emozionante vedere l'incredibile varietà degli ospiti, ognuno con il suo abito, ognuno a modo suo, indossando la sua parte di mondo: c'era il monaco tibetano, l'indiano vestito con una giacca che sembrava quella di Elvis Presley piena di luccichini, le donne africane con abiti dai colori incredibili e io con il mio mezzo tight in lana e seta che l’amico Brunello Cucinelli mi ha fatto confezionare su misura. Ho pure osato un po': anziché la giacca scura, Brunello ha optato per una nuova sfumatura di grigio.

E, a proposito di abiti, mi concedo una nota sulla scelta di Harry. Arrivato solo soletto, si è presentato con un vestito di Dior - brand francese in terra inglese -, per di più ready-to-wear, non fatto su misura per l'occasione. Anche se non aveva un ruolo ufficiale, poteva immaginare di avere gli occhi addosso. Non so, come se si fosse comportato più da celebrity e da influencer che da figlio del re. So che poi, a cerimonia finita, è scappato subito, per rientrare negli Stati Uniti.

Io non sono scappato, ma confesso che poi mi sono ritirato. Usciti da Westminster sono andato a casa a fare un bagno caldo e a bere un tè allo zenzero. Nonostante Edward Enninful mi avesse invitato a pranzo con Katy Perry, sentivo che dovevo recuperare le energie, per la sera e per il concerto del giorno dopo.

Alla sera mi sono così ritrovato con Jony Ive, il creativo di Apple che ha disegnato l’iPhone con Steve Jobs, Lilly Collins, Sasha Baron Cohen e domenica sera è stata la volta del Windsor Coronation Concert, il mega concerto con Katy Perry appunto, Andrea Bocelli, Lionel Richie e tanti altri.

È stato un evento indimenticabile, un altro momento condiviso con Carlo che porterò nel cuore. I nostri rapporti, da che è re, non sono cambiati, continuiamo a scriverci lettere e a incontrarci quando riusciamo.

Non ne ho la conferma, ma mi sono fatto l’idea che lui sia contento della mia compagnia, un po’ perché lo divertono queste mie gaffe da romagnolo - è un uomo di grande humour, mi è capitato più volte di partecipare a tante cene in cui si ride davvero con le lacrime agli occhi - quindi si sente a suo agio, ma allo stesso tempo apprezza il mio essere uomo d’azione. Con Franca Sozzani abbiamo sempre creduto all’idea del «detto, fatto», ossia che alle idee dovesse seguire a breve la realizzazione: in quella tenuta scozzese dove mi ha invitato per la prima volta, lui mi ha chiesto di portargli un progetto, che unisse la Gran Bretagna e l’Italia, che ama tantissimo, e io dopo due mesi sono tornato con The Modern Artisan, una collaborazione tra l’azienda che presiedevo e la sua Fondazione per produrre una capsule collection sostenibile, che univa competenze tessili artigianali al design guidato dai dati e dall’intelligenza artificiale. Lui ha dato la sua approvazione e siamo partiti: una volta online, in due settimane abbiamo venduto oltre il 50% dei capi. Non credo di violare la nostra confidenzialità dicendo che mi chiama spesso il suo «fashion secret weapon», l’arma segreta della moda, una specie di agente alla James Bond.

Con il tempo sono entrato nel consiglio di amministrazione della sua Fondazione, che aiuta tantissimo i giovani, poi nel board di Highgrove Garden, la sua azienda che produce prodotti sostenibili dalle marmellate alle sciarpe di cashmere, e poi quasi due anni fa mi ha chiesto di creare una task force sulla moda con amministratori delegati di tutto il mondo per cambiare le cose: passaporto digitale (del vestito) e moda rigenerativa.

Sono sicuro che sarà il re più ambientalista di tutta la Storia. Carlo è fattivo, non si perde nel bla bla bla e ora che è ufficialmente Re davanti a tutto il mondo, saprà cambiare le regole. E io spero di poterlo accompagnare in questo cammino.

Pubblicato su VanityFair.it

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